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Category: Dintorni

I Maya avevano ragione…o forse no

Un anno fa i Maya ci davano per spacciati, invece sono passati altri 365 giorni da quel famoso 21 Dicembre. Dire che non siamo “morti” e “risorti” più di una volta durante quest’anno, sarebbe una bugia.

Il “mondo è finito” quando, sono morte cinquecento persone nel Mare Nostrum, cimitero galleggiante di anime. Il “mondo è finito” quando, abbiamo iniziato a confondere, la voglia di reagire con la violenza fine a se stessa e quando la politica, per noi, ha cominciato a far rima con qualunquismo. “Il mondo è finito” quando, diecimila cuori, hanno smesso di battere nelle troppo lontane Filippine. “Il mondo è finito” quando Napoli, troppo spesso trattata come “una carta sporca”, ha perso la nostra “Città della Scienza”

Il mondo è “risorto”quando, abbiamo rimesso al centro dei nostri discorsi parole come “integrazione, solidarietà, stato sociale”; quando abbiamo capito che, anche l’uomo più potente al mondo, non è una divinità e non è sempre vero che “morto un  Papa se ne fa un altro”. “Il mondo è risolto” quando, abbiamo abbandonato pc, tablet, smartphone, per guardare la cometa ISON, sperando che continuasse a vivere, dopo la lotta contro il gigante Sole.

Il “mondo continua” quando, tutti i giorni, facciamo in modo che sia il nostro Capodanno

Babbo Natale esiste…e c’ho le prove

A Babbo Natale credo ancora.

Ci credo ogni volta che inizio ad abbonare l’albero di Natale; ogni volta che compaiono le luci colorate e ad intermittenza sul balcone della vicina di casa (fanno parte della categoria  “Christmas kitsch” ma è la mia dose annuale di cattivo gusto a cui proprio non posso rinunciare). Ci credo quando, camminando per il centro storico, sento l’odore agrodolce delle bucce dei mandarini bruciacchiate ed ogni volta che mi avvolgo in una sciarpa fatta ai ferri da mia madre (sono sempre molto lunghe, dopo 34 anni, non si rassegna ancora all’idea di avere una figlia formato pocket).

Credo a Babbo Natale ogni volta che, la notte di Natale, nel mio letto, faccio finta di dormire.

A Babbo Natale credo anche in primavera, in estate o in autunno.

Babbo Natale viene a mettere le fresie nel portafiori sul tavolo del salotto in primavera o mi regala il sale tra i capelli d’estate. Credo a Babbo Natale quando, andando da Ba a Bo, scopro che l’autunno esiste ancora ed è fatto di gialli, rossi, arancioni e foglie che cadono come in un film d’autore francese, uno di quelli lunghi e senza molti dialoghi, dove si fa un sapiente uso dell’effetto “vento cinematografico”.

Quando mi viene chiesto: come hai scoperto che Babbo Natale non esiste? Vorrei tanto rispondere che ricordo benissimo quel momento, come ricorderò per sempre dov’ero e cosa facevo (scusate il paragone un po’azzardato) il giorno dell’attentato alle Torri Gemelle; la notte in cui, nel 2006, l’Italia vinse i Mondiali e il cielo era “più azzurro sopra Berlino” o quando è stata votata la decadenza di Berlusconi. Tutti ricordiamo dove eravamo, cosa facevamo e con chi eravamo.  Tuttavia, ogni volta, nel momento in cui sto per rispondere, Babbo Natale torna…e mi ritrovo a dire: Babbo Natale esiste!

Shooting da “servizio pubblico”?

Perché le ragazze vanno in bagno sempre in  due?

Cari ragazzi la risposta non è così scontata come potreste credere.

Anni fa le ragazze andavano in bagno in due per alternarsi nel ruolo di vedetta davanti la porta, era anche un modo per scambiarsi informazioni utili al proseguimento della serata, un momento di gossip con finalità pratiche.

Dopo l’avvento e la diffusione degli smartphone le attività delle ragazze sono cambiate e il  bagno ha perso la sua funzionalità pratico-informativa.

Oggi le ragazze vanno in coppia in bagno per fotografarsi davanti lo specchio nella classica posa “labbra a bocciolo di rosa” avendo come sfondo un bel water (o altri arredi da bagno, poco importa).

L’ho capito ieri sera quando, dopo aver finito la mia “attività pratica”, ho visto riflesse nello specchio davanti a me due simpatiche donzelle, neanche tanto adolescenti che, dopo aver parlato del nuovo colore dei capelli e del trucco venuto male, si sono guardate in faccia chiedendosi: perché siamo qui? Le risposte avrebbero potuto essere diverse e scontate: lavare le mani, fare la pipì, rifare il trucco (venuto male); ma prima che i loro cervelli partorissero pensieri adatti al luogo, Dio Social le ha illuminate: facciamoci le foto!

Potete immaginare lo spettacolo alle mie spalle. Come delle “papi girls” qualunque nel bagno di Palazzo Grazioli, le due frequentatrici di bagni pubblici hanno iniziato a scattarsi delle foto, finite ovviamente su Facebook e pronte per ricevere una lunga serie di “mi piace”, cuori rosa Schiaparelli e commenti dalla dubbia sintassi italiana.

Solo ora capisco che, l’essere andata in bagno sempre da sola, sfidando le toilette pubbliche di ogni luogo, mi ha salvato dallo “shooting da servizio pubblico”

La transumanza dei piumoni

Ogni anno, con l’arrivo dell’inverno, centinaia di piumoni migrano dal caldo Sud al freddo Nord.

Le destinazioni sono le più disparate ma gli arrivi sono uguali. Tutti i piumoni vengono accolti con calda gioia e morbidi abbracci.

Risalgono la penisola italiana, stretti sottovuoto, per stare nella valigia posizionata nella stiva dell’aereo o siedono accanto alla propria compagna di viaggio, sul sedile della macchina o del treno; quasi sempre i piumoni si accompagnano a donne. Raramente prendono il traghetto, soffrono il mal di mare e temono l’umidità.

Sembra paradossale che donne del Sud, poco abituate al freddo, quello vero, quello nordico che ti entra nelle ossa, siano esperte di piumoni tanto da mandarli in giro per tutto il Nord dell’Italia con orgoglio.

Invece, la donna del Sud, mamma, sorella, amica, fidanzata, nonna, zia, riesce con dovizia di dettagli e grande abilità tecnica, a scegliere il piumone giusto, quello che renderà le notti settentrionali calde e darà l’idea d’essere ancora su una spiaggia assolata della Sicilia, oppure davanti al meraviglioso paesaggio della costiera amalfitana o all’ombra di un ulivo secolare.

Ci sono alcuni piumoni che vanno per poi tornare, altri invece decidono di trasferirsi nella nuova casa e iniziano ad utilizzare l’articolo determinativo davanti ai nomi propri – vezzo tutto  nordico – per sentirsi più integrati. Così il piumone inizierà a farsi chiamare “il Piumone”  ma di notte, mentre è intendo a riscaldare, sognerà di tornare ad essere solo e soltanto “piumone”.

Adesso che ci penso, anch’io devo far migrare un piumone; c’è un letto al centro di Bologna che aspetta di ospitarlo. Quel letto ed il mio piumone hanno molti aneddoti da raccontarsi e storie di tortellini ed orecchiette da inventare.

La moda è razzista

Se siete alte più di 170 cm, portate la taglia 38/40 e quando camminate per strada vi riconoscete nei manichini esposti nelle vetrine delle boutique non andate oltre con la lettura. Le parole che seguiranno sono dedicate a chi, come me, ha dimensioni tascabili e ricorda un’anfora.

Mi rivolgo alle donne della strada (detta così non è bella ma avete capito cosa intendo), alle donne che devono lottare con la pancetta, la gamba non molto slanciata, i seni troppo grossi ed i fianchi “accoglienti”: quante volte vi siete sentite sconfitte dopo un pomeriggio di tentato shopping? Io tante…

Diciamoci la verità: la moda è razzista. Affermazione troppo forte ma è la prima che mi viene in mente ogni volta che vedo la mia immagine riflessa nelle vetrine dei negozi, dove ad indossare gli abiti, quelli che, secondo l’assurda idea dello stilista di turno, dovrebbero stare anche su di me, ci sono manichini che avrebbero fatto impallidire  Naomi Campbell ai tempi delle sfilate per Versace. Continuo a pensare che la moda sia razzista anche quando, in camerino, stretta in abitini “alla moda” (di chi?) mi ritrovo ad essere a metà strada tra un Chupa Chups, larga sopra e stretta sotto e l’omino della Michelin (facciamo a gara per numero di rotoli) . La moda è razzista anche quando, entrando in un negozio, scopro che quasi il 50% degli abiti che metterei sono destinati a watusse, mentre il restante 50%, sono pensati per Lolitone di 40 anni, bimbe (minkia) in pieno svilluppo ormonale o arrivano direttamente dal reparto baby.

Bene, visto che in molti hanno lanciato l’idea di far sfilare modelle più “rotonde” ed esporre manichini più tridimensionali perché non farli anche più bassi. Anch’io, per una volta, vorrei provare il brivido di riconoscermi nella “finta donna tutta d’un pezzo” aldilà del vetro, senza sentirmi esclusa dal “mondo fashion”. Posso provare a convincermi d’essere nata nell’epoca sbagliata e che negli anni 50’ sarei andata via come il pane ma oh… non sempre funziona, un aiuto dall’esterno ogni tanto ce vo’.