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Category: Impara l’arte e mettila da parte

La cultura è un’altra cosa

Dedicato a Pompei, ai ballerini dell’Opera di Roma e del Teatro alla Scala di Milano, ai musicisti del Petruzzelli, agli archeologi, ai progettisti culturali, a Firenze, a Roma, a Venezia…dedicato al Gran Tour e al Bel Paese.

Ultimi giorni di campagna elettorale; ultimi giorni di sondaggi; di talk show affollati di visi di politici semi-sconosciuti e gambe tolte agli stacchetti; ultimi giorni di adozioni di cani, gatti e alieni; ultimi giorni per poter parlare dei fitti e variegati (?) programmi politici. Ultimi giorni, in cui, ogni candidato, può cogliere l’occasione per parlare dello stato della cultura in Italia.

Pinuccio Tatarella, ai tempi in cui ricopriva la carica di assessore al Comune di Bari, diceva: la cultura è un’altra “coUsa”. La cultura e l’arte per noi italiani sono davvero un’altra cosa, sono dei concetti “X – Files”. I programmi elettorali guardano, solo timidamente, all’arte e alla cultura come fonte di occupazione e se per molti Paesi la cultura è un lavoro…in Italia, beh in Italia no.

In un periodo di profonda crisi economica, con un tasso di disoccupazione elevatissimo, non capiamo, o meglio non vogliamo capire che, la soluzione sta nell’ investire su quello che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: l’arte, in tutte le sue forme e sfaccettature! Il nostro “Bel” Paese ci permetterebbe di vivere di sola arte. Provate ad immaginare, per esempio, quante figure lavorative servirebbero per l’avvio e l’apertura di un piccolo sito archeologico: archeologi, servizi di sorveglianza, addetti alla biglietteria, guide turistiche etc etc. Nel mondo lavorativo, ritornerebbe  in gioco, un numero elevato e variegato di qualifiche ed esperienze.

Bisognerebbe fare degli investire economici? Certo, ma non ci sarebbero problemi se si decidesse di comprare, per esempio,  un cacciabombardiere in meno, non siamo neanche in guerra. Il circuito che si creerebbe intorno all’arte o alla cultura più in generale, coinvolgerebbe diversi settori. Provate, anche solo per un momento, a pensare a quanti ingranaggi si muoverebbero in sincrono: alberghi, servizi commerciali, ristoranti, bar, produttori di gadget e souvenir, trasporti…

Le mie parole, i miei pensieri, non sono per nulla originali, lo so, sono così scontati e ovvi, da essere entrati nella lista dei luoghi comuni. Tuttavia, chissà perché, dei concetti così alla portata di tutti e, per i quali, non serve una laurea alla Bocconi,  non vogliono essere capiti da chi deve capirli.

Tatarella aveva proprio ragione: la cultura è un’altra “coUsa”

 

McDonald’s: per i giovani, con i giovani

Ora di pranzo. Tutta l’allegra Lion Family seduta a tavola: tv accesa, chiacchiere in libertà. Con la coda dell’occhio guardiamo il programma di turno, intervallato dalla lunga ed estenuante pubblicità che, chissà perché, durante l’ora di pranzo e cena propone: assorbenti con sorridenti donzelle, pannolini pieni di pipì e pupù, medicinali vari per tosse e catarro etc etc…

Bene, nonostante la poco delicata galleria di tutto quello che a tavola non avrei mai voluto sentir parlare o vedere, l’unica pubblicità che è riuscita a togliermi l’appetito è l’ultima della McDonald’s.

Si, proprio quella che mostra allegri giovani (poco choosy e molto laureati) in cucina mentre friggono patatine.

Si, proprio quella che dice che i lavoratori (giovani) da McDonald’s fanno turni di notte e nei week-end. Per la serie: tanto la vita puoi attendere.

Si, proprio quella che si vanta della puntualità dei pagamenti mensili. Una busta paga mcdonaldsiana media è di 500 euri (sticazzi direbbe qualcuno – scusate il francesismo)

Si, proprio quella che dice che il 90% dei dipendenti (giovani) è a tempo indeterminato. Un finto dipendente, ammicca alla telecamera, preparando una non ben identificata piadina, con un allegria così finta  che, fa sembrare vere anche le labbra a canotto della Santanchè.

Si, proprio quella che sottolinea come a 27 anni si possa diventare direttore di un ristorante. Appunto, di un ristorante, non di una catena di fast food, dove la parola cibo (sano) è assolutamente sconosciuta.

Si, proprio quella che dice che loro, quelli di McDonald’s, credono nell’Italia e danno lavoro a più di 16.000 persone (giovani) e assumeranno almeno altri 3000 giovani  nei prossimi tre anni.

Si, proprio quella in cui si abusa del termine lavoro e viene sbattuta in tv una realtà che non c’è e che mostra finte opportunità per i (tutti in coro)…giovani.

Siete disposti a farvi ingannare? Io…

NO!

Volevo fare la Madonna

La lenta digestione post pranzo di Natale, mi ha fatto tornare alla mente, le recite scolastiche natalizie. Dai 5 ai 10 anni, dalla seconda metà di novembre, prima di uscire di casa per andare a scuola, tutti i giorni mi guardavo allo specchio, sperando di trovare somiglianze con l’immagine diafana della Madonna ritratta sui santini.

A scuola osservavo le mie ipotetiche rivali facendo un’ideale classifica delle aspiranti Madonne; escluse le bimbe con i capelli più corti dei miei (da sempre la Madonna ha una lunga chioma), a preoccuparmi maggiormente erano le bambine dall’aspetto etereo, quelle che sembravano nate per “essere Madonna”.

La notte prima dell’assegnazioni del ruoli, mi addormentavo con il grande desiderio di svegliarmi il mattino seguente bionda e con gli occhi azzurri: miracolo che ovviamente non avveniva.

Avere la parte della Madonna, per me voleva dire tanto: significava essere, in modo discreto, la protagonista; avrei lasciato il segno senza proferire parola, solo con la mia presenza. Pensavo e penso ancora che, chi visita un presepe vivente, supera capre, mucche, improbabili centurioni, la galleria degli antichi mestieri (quasi tutti sconosciuti a Betlemme), solo per arrivare davanti alla capanna di Gesù Bambino, dove insieme a San Giuseppe muto, il bambinello muto, il bue e l’asinello muti c’è anche la Madonna muta ma bellissima.

A pochi giorni dalla recita, ogni anno, il mio sogno natalizio, veniva puntualmente deluso, quando, la maestra, scorrendo l’elenco dei nomi per il ruolo della Madonna, non pronunciava il mio. La parte tanto agognata veniva affidata a quella che per me era la bambina più anonima della scuola, che a suo favore, aveva solo degli insignificanti occhi celesti e comunissimi capelli biondi. Le maestre non hanno mai capito che se la scelta fosse ricaduta su di me, avrebbero avuto l’occasione di presentare ai genitori una Madonna alternativa, diversa dal solito canone di bellezza della donna angelicata, una Madonna dalla personalità forte e “al passo con i tempi”, una Madonna mediterranea e paradossalmente più vicina alla realtà. Invece si sono sempre accontentate di seguire un banale clichè.

A quel punto, prima che la maestra finisse di assegnare le parti, sapevo benissimo quale sarebbe stato il mio destino. Le parole pronunciate dall’ insegnante altro non erano che la conferma: angelo presentatore/narratore; avrei recitato per l’ennesima volta nei panni candidi e argentati di un angelo che racconta. Avrei dovuto narrare a tutti la storia di Gesù Bambino, presentando i personaggi e le atmosfera di quella notte (è nato di notte Gesù, vero?); sarei stata al centro dell’attenzione con la parola ed il gesto, non sarebbe bastata la mia sola presenza. A nulla valevano i tentativi di convincimento di mia madre, che con pazienza, cercava di spiegarmi che la parte assegnatami non era per tutti, a me non bastava…io volevo fare la Madonna.