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Tag Archives: ricordi

Il primo senso non si scorda mai.

“Avvicinava al naso qualsiasi oggetto. Se qualcuno le avesse chiesto di descriversi con un senso, avrebbe sicuramente scelto l’olfatto.

Da piccola era anche finita in ospedale, dopo aver annusato e aspirato, una sorpresa trovata in un uovo Kinder.

Ricordava i periodi passati della sua vita, non attraverso un calendario fatto di anni, ma di profumi. Una candela, trovata per caso in una casa a Bologna, le ricordava il profumo dolciastro del dopobarba usato da suo padre. Un mazzo di fresie gialle, le faceva tornare alla mente, casa di sua nonna durante la primavera. L’odore del pane appena sfornato, le ricordava la casa dove aveva trascorso i primi trent’anni della sua vita; mentre, il profumo della pelle di un neonato, sua sorella. L’aroma del caffè, era la sua colazione, passata con il naso nel barattolo.

Quella mattina, non poté fare a meno di prendere quel limone tra le mani per annusarlo: aveva l’odore agrodolce di quella volta che, insieme a sua sorella, nella biblioteca dei Girolamini a Napoli, scoprì un chiostro, fatto di alberi di limoni e arance…”

Cose che mi mancano del Natale passato – parte II

In casa Leone prima dell’albero c’era il presepe.

Il presepe fu acquistato da mio padre l’anno della mia nascita. Solo anni dopo, insieme a mia sorella, avrei trasformato quel presepe in sughero in una gigantesca casa delle bambole, dove nascevano storie d’amore tra il guarda stelle e la contadinella; gli zampognari allietavano con musiche mute, lavandaie o panettieri, a seconda della nostra volontà e i Re Magi, procedevano scortati dai famosi pecoroni monchi, tanto cari a mia sorella.

I presepi però che mi mancano di più oggi, sono quelli dei miei nonni.

Ho avuto la fortuna d’avere dei nonni veri cultori del presepe.

Nonno Salvatore, iniziava la costruzione delle grotte, delle montagnole e delle case, già da metà Novembre. Tutto il paesaggio era rigorosamente fatto di carta per il pane, calce bianca e ovatta, a simular una neve che, a noi uomini e donne, bambini e bambine del Sud, era ed è quasi del tutto sconosciuta.

I personaggi del presepe di nonno Salvatore, non erano belli ma arrivavano da un passato che, anche oggi, fatico ad immaginare. Contadini, pastori, natività, animali, erano fatti in terracotta e un tempo forse erano stati anche dipinti e con tutti gli arti e le zampe a loro posto.

La notte di Natale, prima della messa, io e mia sorella, portavamo Gesù Bambino in processione per la casa, eravamo le più piccole e quella sculturina stava comoda comoda nel nostro palmo di mano di bambine.

I ricordi del presepe di nonno Salvatore hanno il suono dei canti, la luce delle stelle filanti e il profumo dei mandarini che pendevano dai rami del pino che faceva da cornice al gigantesco paesaggio.

Il presepe di nonna Aurelia invece, era il frutto della regia di una brava donna virginiana.

Nonna decideva di anno in anno, quale dei tanti nipoti, l’avrebbe aiutata nella creazione della scenografia. Nonna Aurelia aveva però nelle sue mani la regia dell’evento: angolo adibito per il presepe e quale ramo di pino era degno d’essere usato erano delle sue scelte insindacabili. Oggi posso affermare con certezza che, nonna Aurelia faceva da art director assoluta del “Natale a Casa 33”.

Il presepe di nonna lo ricordo colorato e ordinato; tutti i personaggi dovevano guardare verso la stalla di Gesù Bambino, le pecorelle abbeverassi in un piccolo specchietto tondo, che fungeva da laghetto e l’angelo, doveva reggersi in bilico tra la stella cometa argentata e la capanna di Gesù Bambino. La Madonna, San Giuseppe, il bue e l’asinello dovevano essere ben visibili da tutte le angolazioni. Inutile dirvi che l’angelo cadeva facilmente provocando spesso stragi di maialini, papere, pastorelli e lavandaie.

Il presepe di nonna Aurelia non doveva essere toccato ma contemplato, nel suo luccichio multicolor fatto di lucine e sfere in tessuto.

Ecco, del Natale degli anni passati mi mancano i presepi, i canti, i progetti architettonici bizzarri e i nonni.

Cos’è l’estate per me…

L’estate è la “mia” stagione, non solo perché ci sono nata ma per il sole, il mare, la luce e il calore che fanno parte del mio DNA.

Nel mio armadio ho un numero imprecisato di estati catalogate, tutte raccontate giorno per giorno, incontro dopo incontro.

L’estate è il momento in cui, per l’unica volta nella mia vita, i miei genitori mi hanno dato una punizione, solo perché mi scoprirono che  passeggiavo con un ragazzo un po’ più grande di me. L’estate è anche quando, seduta su una panchina, ero convinta che tutto sarebbe rimasto uguale…io, i miei amici, il ragazzino di quel tempo. L’estate è il momento in cui, per la prima volta, ho scoperto il significato di una “dichiarazione d’amore”, concetto astratto fino a quel momento e che ho fatto fatica a far mio (solo negli anni ho imparato a cucirmi addosso la taglia ed i colori giusti). L’estate è anche la lunga serie di serate trascorse a parlare, seduta sul marciapiede della “villa” ( luogo che, solo oggi, capisco essere molto lontano dal concetto di vera villa ma che, a quel tempo, mi sembrava l’unico posto giusto dove stare). L’estate per me è anche l’ istante in cui, una delle tante terrazze sul mare è diventa speciale o quella in cui ho ricevuto una cartolina che ritraeva una valle della Val d’Aosta e riportava sul retro alcune frasi di Dylan Dog. L’estate per me è  la stagione in cui faccio i conti con alcune parti del mio corpo, troppo grandi o troppo piccole a seconda delle occasioni; è il momento delle passeggiate mangiando gelati che puntualmente, rispondendo ad una strana forza di gravità, cadono sui miei vestiti; è il momento in cui “ ho lasciato scappar via l’amore” per poi “incontrarlo dopo poche ore”. L’estate è il momento delle canzoni che non dimenticherò mai e che con gli anni, hanno sviluppato la stessa capacità di dare dipendenza di una vecchia canzone di Claudia Mori intitolata “Non succederà più” che può inchiodarti alla radio per ore.

L’estate per me è tanto altro…sono i mesi dove, a volte, sono cresciuta perdendo…