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Category: Leggere e guardare

Frida parla di Frida

Dalla mia visita alla mostra su Frida Kahlo sono passati diversi giorni ma ho ancora negli occhi le immagini della sua vita dipinta e vissuta.

I quadri di Frida e le foto che la ritraggono sono come le scene di quei film che, una volta visti, restano per giorni e giorni in testa; che ti svegli al mattino ed hai ancora addosso le parole dei dialoghi, le note della colonna sonora, le espressioni dei protagonisti; ma la vita di Frida e il suo modo di raccontarla, esporla, renderla pubblica non sono finzione.

Non provavo una sensazione di stordimento per una mostra da molto tempo, ma la mia non è “sindrome di Stendhal” – guardo sempre con scetticismo chi davanti ad un’opera d’arte sviene, lo trovo inutilmente teatrale. Il mio stordimento per il mondo raccontato da Frida è dato dai colori messicani, dai dettagli inaspettati, dalla profondità degli occhi languidi del ritratto con scimmia o dalla elegante malinconia del suo primo autoritratto, fatto con amore per un amore. Il mio stordimento è nato dall’aver sentito vicina Frida, quasi compagna della mia visita alla sua mostra. Il mio stordimento è cresciuto con la sorpresa di percepire come vivi i suoi quadri, una sfumatura fondamentale che, sino a quel momento avevo ignorato. Le riproduzioni dei suoi dipinti e la cattiva abitudine contemporanea di trasformare in icona pop tutto quello che può far moda, può spostare somme di denaro e flussi di gente, annulla, purtroppo, il respiro che fa pulsare Frida e la sua arte.

Camminando tra i quadri ho sentito parlare Frida come donna e non come artista, femminista, rivoluzionaria.

Tutto si regge in equilibrio tra la vita fortemente voluta e la morte tanto combattuta. Tutto si divide tra la tradizione di una terra, la sua, carica di credenze, folklore, calore e sole e un’altra, estranea, moderna, grigia e a tratti ostile. Tutto si divide tra la rivoluzione e il mantenersi ben saldi alle origini.

Se la “sdraiata” fossi io?

Stanotte ho finito di leggere “Gli sdraiati” di Michele Serra. Senza molte difficoltà, in pochi giorni, sono arrivata alla fine del libro.

Non sono ancora genitore e non ho un’età così lontana dall’adolescenza che mi fa dire con serenità “eh ai miei tempi!”; eppure più mi addentravo nella lettura e leggevo delle difficoltà di MicheleSerraPadre, più mi sentivo empaticamente vicina a lui.

Mi sono chiesta “perché?”: perché mi sentivo lontana dal figlio e vicina al padre. Ho ripercorso con la mente i quindici giorni trascorsi a scuola come Prof; ho ricordato le lunghe chiacchierate con mia cugina, quasi diciottenne; ho ripensato a tutte le volte che, per strada, incrociando la “generazione degli sdraiati”, dico “eh ma noi non eravamo così, avevamo degli stimoli, parlavamo con le persone guardandole negli occhi e non attraverso una chat e per incontrar gente non andavamo su Facebook”. Mi sono scoperta genitrice di pensieri qualunquisti e stereotipati, gli stessi pensieri che spesso condanno e dai quali cerco di tenermi lontana.

Allora cosa mi è successo?

Pian piano che andavo avanti con la lettura e mi avvicinavo alla fine del libro, ho capito che i veri “sdraiati”, i veri immobili, siamo noi: fermi nel tentativo di entrare in contatto con un’età che non ci appartiene più. Noi “vecchi sdraiati”, veniamo presi dall’ansia di dover trasmettere, comunicare, trasferire, parlare, far apprendere la “bellezza del mondo”, “la bellezza della vita”, “la bellezza delle cose che ci circondano”, “la bellezza della realtà reale”. Oggi forse, più dei nostri genitori, noi trentenni e qurantenni, temiamo che la miriade di sensazioni e di esperienze vengano inghiottite dal  virtuale. Temiamo di lasciare in eredità il nulla, senza lasciare traccia; cerchiamo conferme del contrario da chi ci fa da specchio con il futuro, senza renderci conto però, che la crescita, per tutte le generazioni, è proprio dietro l’angolo, dobbiamo solo aspettare pazientemente che faccia il suo percorso e arrivi.

Cinquanta sfumature di multicolor

Un consiglio: cercate di non annoiarvi mai, potreste pentirvi delle decisioni prese durante le brevi pause tra uno sbadiglio e l’altro.

Qualche settimana fa, vagavo per le stanze di una casa non mia, senza una meta precisa, quando ad un certo punto la mia attenzione fu rapita da un libro. La copertina era scura con la foto di una maschera che, immediatamente mi ricordò, un souvenir veneziano semi dimenticato su un ripiano della libreria di casa. Senza pensarci molto e forse per non tornare alle parole crociate, allo smalto sulle unghie, al soffitto fissato per un tempo indefinito, al lavaggio di piatti che poi sarebbero stati lavati dalla lavastoviglie, decisi di prendere in mano quel libro misterioso e con meraviglia mi ritrovai tra le mani il famoso “Cinquanta sfumature di nero”. Finalmente avrei potuto leggere uno dei tre libri soft porno più famosi degli ultimi anni, che ha fatto tanto eccitare le casalinghe (un po’ desperate) di mezzo mondo – per intenderci, la trilogia delle “sfumature”, ha venduto in minor tempo più di Harry Potter. Pensai che, con un po’ di fortuna, anch’io avrei potuto ingannare il tempo con una lettura alternativa al solito “romanzo-mattone impegnato” e magari, unendo l’utile al dilettevole, avrei trovato anche degli spunti interessanti per i miei futuri intimi rendez-vous. Mi accomodai, munita di plaid, sulla bianca e comoda chaise longue accanto alla finestra ed iniziai, quella che speravo, sarebbe diventata un’ eccitante lettura. Bene, dopo le primissime pagine, capì subito, che dovevo mettere da parte tutte le mie aspettative e rassegnarmi all’idea che, quel libro, altro non era che la bella (neanche tanto) versione di “Harmony”, quei tremendi libricini di storie “love love” dalle copertine color pastello o dei film britannici tratti dai romanzi sentimentali di Rosamunde Pilcher.

Pagina dopo pagina, leggevo la banale storia, trita e ritrita del bello, ricco e dannato (per intenderci la brutta copia di Mr. Big di Sex&The City), amato dalla solita ragazzetta neo laureata che, sfidando l’oscuro passato sessual-sentimentale dell’uomo potente di turno, da brava crocerossina, riesce a convertirlo alla monogamia, arrivando, ovviamente, al classico Happy End: la proposta di matrimonio…tatatààà!

Mi chiedo, come possa essere la vita sentimentale e sessuale delle donne di tutto il mondo, se leggendo banalità e luoghi comuni a gogò, hanno provato brividi di piacere peccaminosi. Mi chiedo, perchè le donne aspettano ancora che il Principe Azzurro arrivi sotto casa sul cavallo bianco, in calzamaglia blu, come Richard Gere in Pretty Woman (solo che nel film il cavallo bianco è sostituito da una Lotus Esprit e lei non vive con i sette nani nel bosco ma è un’ex prostituta, neanche tanto di alto borgo, altrimenti si sarebbe chiamata “escort”). Mi chiedo, perché mai l’uomo dei sogni e sessualmente attivo, deve sempre essere un ricco e famoso imprenditore (Berlusconi? Briatore?) e mai il muratore tutto muscoli e abbronzatura (viste le ore passate sotto il sole) o il fattorino che, improvvisamente entra in ufficio, con una salopette sapientemente sbottonata, l’addominale in vista e gocce di sudore addestrate per scivolare nei punti giusti, come una vecchia pubblicità della Coca Cola ci insegna.

Triste sembra la vita sentimental-sessuale delle donne se devono viverla con delle sfumature di grigio e di nero. Lascio con piacere le tinte scure alle altre e mi tengo le mie “cinquanta sfumature di multicolor”.