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Tag Archives: cultura

Ricominciamo da Matera

Da ieri a Sud c’è una capitale; non economica, politica ma una capitale della cultura.


Le parole Sud e Cultura insieme fanno quasi paura, sono un ossimoro. Sud e Cultura non vanno più a braccetto da molto tempo. Da decenni, il troppo Mediterraneo Sud, e’ stato relegato a contenitore di mafie, arretratezza, immigrazione, mancanze sociali ed economiche. Lontano dall’Europa attiva e sviluppata, vicino all’Africa che scappa e all’Oriente che esplode. Da secoli, la Magna Grecia, non è più grande e lo scrigno dei fasti passati, conserva solo gioielli sepolti sotto una coltre di polvere di cemento e consapevole dimenticanza.
Dalle 17 di ieri invece, la Cultura e’ tornata nella sua antica casa e se, per il resto d’Italia (forse) non significherà molto, per noi meridionali e’ il recupero del nostro sano DNA.


Ricominciamo da una regione soffocata dalle altre regioni che molti faticano a riconoscere sulla cartina. Ricominciamo da una città che, per lungo tempo e’ stata considerata una vergogna italiana: sporca, dimenticata, povera, bloccata in un tempo fuori dal tempo, privata del suo vero futuro. Ricominciamo da un territorio che, con umiltà e senza tanto clamore, ha saputo aspettare, con pazienza orientale, il momento per dimostrare che gli aridi sassi sanno raccontare e possono rappresentare una Cultura universale.


Ricominciamo da dove siamo partiti, perché forse, così, ci smarriamo meno

Lamento di una giovane disoccupata che sembra occupata

Da un mese ho compiuto 34 anni, sembrano tanti ma dicono li porti bene ed io voglio crederci.

Da piccola, quando pensavo ai miei 30 anni, mi immaginavo con un lavoro e forse una famiglia (ahimè mettevo già il lavoro prima di tutto) e a chi mi chiedeva: cosa vuoi fare da grande? Superata la fase del “voglio fare la ballerina”, ero già pronta con tutù e scarpette a mezza punta, rispondevo “voglio fare la scrittrice”. A quel tempo volevo solo scrivere, trasmettere, raccontare, descrivere, non mi importava di cosa. Quando alla fine degli anni 90, dovetti scegliere l’Università, non ebbi dubbi e mi iscrissi alla Facoltà di Lettere e Filosofia, consapevole del fatto che sarebbe stato difficile trovare lavoro e ad altri bei discorsi da terrorismo psicologico.

Oggi sono laureata da 6 anni e mi ritrovo ad essere una disoccupata che sembra occupata.

Alla domanda: che lavoro fai? Da un pezzo non rispondo più “la scrittrice”, ho abbandonato l’idea i primi anni di Università ma con fierezza ed imbarazzo dico: la progettista culturale, figura mitologica fatta per metà di Business Plan e metà di belleideesenzafinanziamenti. Dopo cinque anni di onorato lavoro però, inizio a chiedermi se ne vale realmente la pena. Si può definire vero lavoro quello che non ti permette d’essere economicamente indipendente, quello che, nonostante i mille sforzi e sacrifici, ti lascia a casa sotto il tetto di mamma e papà anche quando hai l’età giusta per andar via. Non crediate che in questi anni non abbia cercato altro, qualcosa di più “concreto”, come dicono tanti (come se la cultura non lo fosse), qualcosa di meno” choosy”. Negli anni mi sono proposta come commessa, segretaria ma il mio CV mi ha tradito, “troppo titolato” – mi hanno detto – per piegare maglie e rispondere al telefono.

Dopo aver capito che la mia vita non sarebbe stata tra gli scaffali di un negozio o dietro una scrivania, ho pensato di titolare ulteriormente quel CV già “troppo titolato”. Mi sono così imbattuta in master di facciata e  inutili o master interessanti ma assolutamente inaccessibili per chi, come me, non ha il supporto economico necessario. Volutamente non apro il discorso “voglio fare l’insegnante”, perché in quel caso il caos regnava, regna e regnerà sovrano: non ho frequentato la SISS (tolta l’anno in cui decisi di provarla) e quindi sono costretta nel limbo eterno della terza fascia con possibilità di chiamata alle armi dell’insegnamento pari allo 0; non ho partecipato al TFA, acronimo che ricorda più una malattia della pelle che un Tirocinio; non ho potuto provare il Concorsone per direttive ministeriali non ben definite.

“Cerco un centro di gravità permanente” – cantava Battiato – io per ora, cerco un Centro per l’impiego, che ormai di permanente ha ben poco

La cultura è un’altra cosa

Dedicato a Pompei, ai ballerini dell’Opera di Roma e del Teatro alla Scala di Milano, ai musicisti del Petruzzelli, agli archeologi, ai progettisti culturali, a Firenze, a Roma, a Venezia…dedicato al Gran Tour e al Bel Paese.

Ultimi giorni di campagna elettorale; ultimi giorni di sondaggi; di talk show affollati di visi di politici semi-sconosciuti e gambe tolte agli stacchetti; ultimi giorni di adozioni di cani, gatti e alieni; ultimi giorni per poter parlare dei fitti e variegati (?) programmi politici. Ultimi giorni, in cui, ogni candidato, può cogliere l’occasione per parlare dello stato della cultura in Italia.

Pinuccio Tatarella, ai tempi in cui ricopriva la carica di assessore al Comune di Bari, diceva: la cultura è un’altra “coUsa”. La cultura e l’arte per noi italiani sono davvero un’altra cosa, sono dei concetti “X – Files”. I programmi elettorali guardano, solo timidamente, all’arte e alla cultura come fonte di occupazione e se per molti Paesi la cultura è un lavoro…in Italia, beh in Italia no.

In un periodo di profonda crisi economica, con un tasso di disoccupazione elevatissimo, non capiamo, o meglio non vogliamo capire che, la soluzione sta nell’ investire su quello che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: l’arte, in tutte le sue forme e sfaccettature! Il nostro “Bel” Paese ci permetterebbe di vivere di sola arte. Provate ad immaginare, per esempio, quante figure lavorative servirebbero per l’avvio e l’apertura di un piccolo sito archeologico: archeologi, servizi di sorveglianza, addetti alla biglietteria, guide turistiche etc etc. Nel mondo lavorativo, ritornerebbe  in gioco, un numero elevato e variegato di qualifiche ed esperienze.

Bisognerebbe fare degli investire economici? Certo, ma non ci sarebbero problemi se si decidesse di comprare, per esempio,  un cacciabombardiere in meno, non siamo neanche in guerra. Il circuito che si creerebbe intorno all’arte o alla cultura più in generale, coinvolgerebbe diversi settori. Provate, anche solo per un momento, a pensare a quanti ingranaggi si muoverebbero in sincrono: alberghi, servizi commerciali, ristoranti, bar, produttori di gadget e souvenir, trasporti…

Le mie parole, i miei pensieri, non sono per nulla originali, lo so, sono così scontati e ovvi, da essere entrati nella lista dei luoghi comuni. Tuttavia, chissà perché, dei concetti così alla portata di tutti e, per i quali, non serve una laurea alla Bocconi,  non vogliono essere capiti da chi deve capirli.

Tatarella aveva proprio ragione: la cultura è un’altra “coUsa”