Caro 2016, come ogni anno siamo arrivati al momento dei saluti finali.

Mi trasformo nel venditore di Almanacchi e, tra una strana speranza malinconica e un po’ di euforia da nuovo anno, vendo a me stessa – e forse un po’ agli altri – la possibilità di un futuro diverso. Migliore.

È anche il momento dei bilanci.

Così caro 2016, ti saluto come si saluta un amico che sai di non rivedere più ma che, da qualche parte del tempo, continuerà ad inviare cartoline ricordo. I bilanci però ‘sta volta, 2016, proprio non riesco a farli. Riusciresti a racchiudere l’Oceano in un barattolo di vetro? No.

E’ proprio così che sei stato, un oceano quasi sempre in tempesta, difficile da chiudere in un barattolo. Ti sei mostrato da subito forte, complicato, difficile, duro, bisesto.

Non c’è stato un solo mese in cui tu non abbia smesso di mostrare il tuo carattere.

Terrai con te un numero troppo alto di persone, spesso giovani.

Hai scosso le nostre vite e la nostra terra.

Hai fatto incrociare destini in piazze, mercatini, rotaie, mari, città distrutte vicine e lontane.

Ti sei divertito a farci giocare con le nostre paure ancestrali e ci hai mostrato quanto possiamo essere impotenti davanti agli eventi.

Nessuna differenza tra la furia della Natura e l’accecante odio umano.

Hai iniziato a farci guardare in una direzione che può far terrore. Tu hai subdolamente e sarcasticamente indicato e noi, persi e frastornati, abbiamo iniziato solo a seguire la tua mano.

Caro 2016, quando invierai messaggi da un tempo e un luogo lontani, li leggerò come si leggono le lettere d’amore ed odio di un vecchio amante che ci ha fatto male, avendo come sottofondo “Hero” di David Bowie e “Mr. Tambourine Man” di Bob Dylan.