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Storia di un ovetto che vuole essere altro

Ogni giorno, accanto alle semplici operazioni quotidiane, compiamo “nuovi” gesti, impensabili anche solo 20 anni fa. Ogni giorno infatti, ci sediamo alla scrivania nel nostro studio, accendiamo il pc e iniziamo a navigare: rispondiamo ed inviamo mail, postiamo il nostro ultimo selfie con la bocca a bocciolo di rosa aspettando impazienti di leggere i commenti dei nostri amici; twittiamo al personaggio famoso, visto nel film al cinema la sera precedente e prenotiamo il week-end al mare da Tripadvisor.

Non c’è nessuna premeditazione nei nostri gesti, non c’è pianificazione.

Chi la vista non ce l’ha però, come fa a “toccare” un post, un articolo, una foto virtuale? Un cieco, scatta selfie, twitta, legge le mail e prenota le sue vacanze direttamente dal pc senza andare in agenzia (operazione che ormai appare così vintage anche ai meno social)?

Un sondaggio  del 2012 effettuato da WebAIM riporta dei dati che dovrebbero far riflettere: solo il 7,4% dei social media risulta molto accessibile per i non-vedenti; mentre, un secondo sondaggio del 2013, dichiara accessibili agli ipovedenti solo il 13,7 % dei social media. Strano come il luogo di aggregazione di massa per eccellenza, non aggreghi ma divida; strano come la community sia meno comunità per alcuni; strano come il pc, un mezzo tecnologico “pret- a- porter”, non sia per tutti.

I non-vedenti però, i social media li usano e a dimostrarcelo negli ultimi giorni è Filippo Tenaglia.

Filippo, attraverso l’hashtag #unaimmagineperFilippo chiede, a chi Twitter lo vede, di inventare per il suo account, un’immagine che faccia diventare l’ovetto twitteriano altro. L’appello pare stia riscuotendo un notevole successo, molte sono le immagini arrivate e se da una parte, c’è chi su Twitter chiede un’auto, ricevendo risposta solo dalla Smart; dall’altro, c’è chi, semplicemente chiede di dischiudere il proprio ovetto social e riceve un numero consistente di proposte grafiche.

Ricordiamoci di Filippo, del suo ovetto e della sua semplice richiesta quando, la prossima volta che siamo davanti al pc e facciamo in modo che il pensiero sia anche più forte se con i social media ci lavoriamo, se siamo blogger (soprattutto di successo e “fiki”) o siamo web-master. Il nostro primo obiettivo è comunicare e dobbiamo farlo arrivando a tutti: alle persone alte e basse, ai magri e ai grassi, ai pugliesi e agli emiliani, ai belli e ai brutti, ai vedenti e ai non-vedenti.

Adesso, sediamoci al nostro pc, bendiamoci e iniziamo a capire che effetto fa non vedere un mondo fatto di immagini.

Immagine: Studio Vendetta – Gagliarde grafiche e affini – Parma (Italia)

Frida parla di Frida

Dalla mia visita alla mostra su Frida Kahlo sono passati diversi giorni ma ho ancora negli occhi le immagini della sua vita dipinta e vissuta.

I quadri di Frida e le foto che la ritraggono sono come le scene di quei film che, una volta visti, restano per giorni e giorni in testa; che ti svegli al mattino ed hai ancora addosso le parole dei dialoghi, le note della colonna sonora, le espressioni dei protagonisti; ma la vita di Frida e il suo modo di raccontarla, esporla, renderla pubblica non sono finzione.

Non provavo una sensazione di stordimento per una mostra da molto tempo, ma la mia non è “sindrome di Stendhal” – guardo sempre con scetticismo chi davanti ad un’opera d’arte sviene, lo trovo inutilmente teatrale. Il mio stordimento per il mondo raccontato da Frida è dato dai colori messicani, dai dettagli inaspettati, dalla profondità degli occhi languidi del ritratto con scimmia o dalla elegante malinconia del suo primo autoritratto, fatto con amore per un amore. Il mio stordimento è nato dall’aver sentito vicina Frida, quasi compagna della mia visita alla sua mostra. Il mio stordimento è cresciuto con la sorpresa di percepire come vivi i suoi quadri, una sfumatura fondamentale che, sino a quel momento avevo ignorato. Le riproduzioni dei suoi dipinti e la cattiva abitudine contemporanea di trasformare in icona pop tutto quello che può far moda, può spostare somme di denaro e flussi di gente, annulla, purtroppo, il respiro che fa pulsare Frida e la sua arte.

Camminando tra i quadri ho sentito parlare Frida come donna e non come artista, femminista, rivoluzionaria.

Tutto si regge in equilibrio tra la vita fortemente voluta e la morte tanto combattuta. Tutto si divide tra la tradizione di una terra, la sua, carica di credenze, folklore, calore e sole e un’altra, estranea, moderna, grigia e a tratti ostile. Tutto si divide tra la rivoluzione e il mantenersi ben saldi alle origini.

Garibaldi ha fatto l’Italia, Zuckerberg non ha fatto gli italiani

Garibaldi è riuscito nell’impresa di fare l’Italia ma Zuckenberg ed i suoi potenti mezzi, non sono riusciti a fare gli italiani.

Dopo San Gennaro a Sud e Sant’Ambrogio al Nord; il sole da Club Med perenne a Sud e nebbiagrigiocielodiLondra a Nord; Oh Sole miooo al Sud e Oh mia bella madunnina al Nord; non riusciamo ad avere omogeneità neanche nell’uso di Facebook.

Avete messo a confronto le bacheche di Facebook di un meridionale e di un settentrionale? Provate a farlo e noterete come, anche nel virtuale, siamo diversi.

A Sud, l’argomento evergreen e’ la politica. L’uomo e la donna meridionali, hanno la predisposizione al commento politico nel DNA del mouse; forse come tentativo di recuperare decenni di supremazia politica settentrionale. A Nord invece, la politica latita e quando c’è, spesso e’ abbinata al volto perennemente stravolto di Grillo.

A Sud, si fotografano bottiglie ghiacciate di birra Peroni anche il 25 Dicembre; a Nord, se proprio ti va male, fotografi un flutè di qualche bollicina non ben identificata, spacciata per “champagnino”.

A Sud i commenti terminano con il “daje” esclamativo di (centro) sinistra radical-chic; a Nord c’è l’onnipresente TOP, pseudo aggettivo di briatoriana memoria.

La differenza virtual-facebookiana più grande tra Sud e Nord, sta nel fatto che: a Sud ci sono quelli che vivono e postano a Sud; a Nord ci sono quelli che vivono a Nord, postano a Nord ma sono del Sud, parlano del Sud e immaginano di tornare a Sud.

Rossetto e cioccolato

Lo ammetto, ho ceduto anch’io alle tentazioni della moda e da qualche mese sono passata dal “vadobenecontutto” gloss nature ad un più impegnativo rossetto rosso fuoco.

Nella scelta però, ho sottovalutato le conseguenze della moda.

Quando acquisti un rossetto rosso fuoco, non c’è il bugiardino del make up, che ti avvisa su cosa si deve o non deve fare; non c’è neanche una Clio a portata di mano che ti insegna i trucchi per i trucchi. Non c’è nulla di tutto ciò.

Quando acquisti un rossetto rosso fuoco, ti ritrovi sola davanti allo specchio ed è li che inizia la lotta: l’effetto Joker è sempre dietro l’angolo. Dimenticate le bocche perfettamente disegnate delle riviste di moda; Vanity Fair è un mondo fatto di labbra carnose e rosse al punto giusto, riservato a poche elette. La realtà, per noi povere mortali, prevede denti segnati di rosso e labbra a macchia di giaguaro.

Quando acquisti un rossetto rosso, pensi immediatamente: con questo lo conquisto. Mi presento con due labbra rosse così, ogni tanto faccio finta di mordicchiarmi il labbro inferiore e la serata è fatta.

Mai pensiero è stato più sbagliato: avete mai provato a baciare con un rossetto rosso? Se sull’uomo, le tracce del vostro rossetto, lo faranno apparire come un gran Don Giovanni  (non è un caso che ci sono pagine e pagine di libri e scene e scene di film che trattano l’argomento: uomo e macchie di rossetto) su di noi, quel rossetto, verrà spalmato su tutta la faccia, provocando l’effetto “ho sbattuto la faccia in un piatto di pasta al pomodoro”.

Quando acquisti un rossetto rosso, non tieni conto che, anche mangiare o bere diventa un’impresa difficile, subito si palesa il dilemma: mangio, rovino il rossetto, vado in bagno a ritoccarlo, rimangio, rovino il rossetto, ritorno in bagno a ritoccarlo e così per tutta la serata o dico che non ho fame e sono fantastica per tutta la sera?

Bene, quando sono arrivata a pormi questa domanda davanti ad una tazza di cioccolata calda, ho fatto la mia scelta: ho preferito la cioccolata che, diciamocelo, è anche più afrodisiaca del rossetto rosso

Lucio Dalla, Bologna e me – cronaca di una conoscenza già annunciata

Prima del 2012, per me Lucio Dalla era uno dei tanti bravissimi cantautori italiani ma non ero una sua fan. Non conoscevo tutte le sue canzoni a memoria o ascoltavo spesso i suoi brani. Avevo lasciato quel ruolo a mia sorella. Ricordo ancora che, in quella prima settimana di Marzo, abbiamo ascoltato Dalla per intere giornate, tutti i giorni ed ogni canzone iniziava e finiva con Aurelia che diceva: come faremo senza altre sue canzoni!

Vidi i funerali di Dalla in televisione, ma non per mio spiccato interesse ma un po’ per curiosità e un po’ perchè mia madre e mia sorella erano davanti la tv. Vedevo una piazza, dei colli lontani e dei portici come cartoline di un luogo a me sconosciuto e che forse, un giorno, avrei visitato da turista (mia sorella per anni mi ha detto “Bologna è la città giusta per te” ed io ogni volta le rispondevo “ma non so…Bari è la mia città, però un giorno ci andiamo”).

Mentre vedevo quelle immagini pensai ad un ragazzo, un certo Lorenzo di Bologna, mi dissi “chissà dove sarà, chissà se è anche lui in mezzo a quella folla o come me è davanti la televisione, a guardare la sua città dall’alto”. Ricordo di aver mandato un messaggio a quel “Lorenzo di Bologna” e d’aver scoperto che non era in piazza Maggiore, non era davanti la tv ma stava comunque guardando Bologna dall’alto; la guardava da San Luca, si era fermato prima di un giro in moto tra i colli bolognesi.

A Marzo 2012, non avrei mai pensato che dopo pochi mesi Bologna, Lucio Dalla e quel Lorenzo in giro con la moto per i colli, sarebbero diventati a me così tanto familiari che avrei iniziato a vivere tra Ba e Bo.