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Cose che mi mancano del Natale passato – parte II

In casa Leone prima dell’albero c’era il presepe.

Il presepe fu acquistato da mio padre l’anno della mia nascita. Solo anni dopo, insieme a mia sorella, avrei trasformato quel presepe in sughero in una gigantesca casa delle bambole, dove nascevano storie d’amore tra il guarda stelle e la contadinella; gli zampognari allietavano con musiche mute, lavandaie o panettieri, a seconda della nostra volontà e i Re Magi, procedevano scortati dai famosi pecoroni monchi, tanto cari a mia sorella.

I presepi però che mi mancano di più oggi, sono quelli dei miei nonni.

Ho avuto la fortuna d’avere dei nonni veri cultori del presepe.

Nonno Salvatore, iniziava la costruzione delle grotte, delle montagnole e delle case, già da metà Novembre. Tutto il paesaggio era rigorosamente fatto di carta per il pane, calce bianca e ovatta, a simular una neve che, a noi uomini e donne, bambini e bambine del Sud, era ed è quasi del tutto sconosciuta.

I personaggi del presepe di nonno Salvatore, non erano belli ma arrivavano da un passato che, anche oggi, fatico ad immaginare. Contadini, pastori, natività, animali, erano fatti in terracotta e un tempo forse erano stati anche dipinti e con tutti gli arti e le zampe a loro posto.

La notte di Natale, prima della messa, io e mia sorella, portavamo Gesù Bambino in processione per la casa, eravamo le più piccole e quella sculturina stava comoda comoda nel nostro palmo di mano di bambine.

I ricordi del presepe di nonno Salvatore hanno il suono dei canti, la luce delle stelle filanti e il profumo dei mandarini che pendevano dai rami del pino che faceva da cornice al gigantesco paesaggio.

Il presepe di nonna Aurelia invece, era il frutto della regia di una brava donna virginiana.

Nonna decideva di anno in anno, quale dei tanti nipoti, l’avrebbe aiutata nella creazione della scenografia. Nonna Aurelia aveva però nelle sue mani la regia dell’evento: angolo adibito per il presepe e quale ramo di pino era degno d’essere usato erano delle sue scelte insindacabili. Oggi posso affermare con certezza che, nonna Aurelia faceva da art director assoluta del “Natale a Casa 33”.

Il presepe di nonna lo ricordo colorato e ordinato; tutti i personaggi dovevano guardare verso la stalla di Gesù Bambino, le pecorelle abbeverassi in un piccolo specchietto tondo, che fungeva da laghetto e l’angelo, doveva reggersi in bilico tra la stella cometa argentata e la capanna di Gesù Bambino. La Madonna, San Giuseppe, il bue e l’asinello dovevano essere ben visibili da tutte le angolazioni. Inutile dirvi che l’angelo cadeva facilmente provocando spesso stragi di maialini, papere, pastorelli e lavandaie.

Il presepe di nonna Aurelia non doveva essere toccato ma contemplato, nel suo luccichio multicolor fatto di lucine e sfere in tessuto.

Ecco, del Natale degli anni passati mi mancano i presepi, i canti, i progetti architettonici bizzarri e i nonni.

Cose che mi mancano del Natale passato – parte I

Dei Natali passati mi manca Cesarino.
Molti di voi si staranno chiedendo “chi è Cesarino?”.


Cesarino e’ una tabaccheria di Rutigliano, o meglio, il nome del proprietario della tabaccheria; si sa, a Sud, nei piccoli paesi, i luoghi senza nome vengono identificati con il nome di battesimo di chi li ci lavora.
Cesarino, oggi e’ molto diverso da 15-20 anni fa.


Durante il periodo natalizio, sulla lunga parete di destra, comparivano degli scaffali stracolmi di statuine del presepe di tutti i colori e fogge; carta roccia in fogli troppo grandi per le mie piccole mani di bambina; muschio finto, dall’inconfondibile odore dolciastro misto all’umido; porporina e capelli d’angelo argentati e dorati; alberi di Natale, posizionati in bella vista un po’ qua un po’ là, accanto alle luci ad intermittenza dai colori kitsch, tipici del Natale anni ’80.
Infondo al locale c’era una stanza piena di giocattoli.


Il rito natalizio prevedeva che, mamma o papà, accompagnavamo me e mia sorella da Cesarino per la scelta delle nuove statuine per il presepe. Il numero dei personaggi da scegliere variava di anno in anno, a seconda delle statuine sopravvissute al Natale precedente.
Ancora oggi non ho ben capito perché la scelta, soprattutto di mia sorella, ricadeva quasi sempre su delle pecorelle che, per dimensioni, una volta posizionate nel presepe, apparivano come tanti Godzilla in un finto paesaggio più trentino che medio-orientale.
Mia madre si rassegnò subito alla mancanza di proporzioni del nostro presepe, si limitava a chiamare quegli animali “pecoroni”. Molti “pecoroni” arrivavano al Natale successivo, nel migliore dei casi, senza una zampa per un altro mistero delle scelte azzardate di mia sorella: quella povera creatura di plastica veniva piazzata proprio su una lucina, dove nel tempo, la plastica si scioglieva al calore e la pecora diventava irrimediabilmente monca. Una prece per la pecora.


Ecco, del Natale degli anni passati mi mancano Cesarino, le scelte bizzarre di mia sorella e l’odore acre del muschio finto.

Ricominciamo da Matera

Da ieri a Sud c’è una capitale; non economica, politica ma una capitale della cultura.


Le parole Sud e Cultura insieme fanno quasi paura, sono un ossimoro. Sud e Cultura non vanno più a braccetto da molto tempo. Da decenni, il troppo Mediterraneo Sud, e’ stato relegato a contenitore di mafie, arretratezza, immigrazione, mancanze sociali ed economiche. Lontano dall’Europa attiva e sviluppata, vicino all’Africa che scappa e all’Oriente che esplode. Da secoli, la Magna Grecia, non è più grande e lo scrigno dei fasti passati, conserva solo gioielli sepolti sotto una coltre di polvere di cemento e consapevole dimenticanza.
Dalle 17 di ieri invece, la Cultura e’ tornata nella sua antica casa e se, per il resto d’Italia (forse) non significherà molto, per noi meridionali e’ il recupero del nostro sano DNA.


Ricominciamo da una regione soffocata dalle altre regioni che molti faticano a riconoscere sulla cartina. Ricominciamo da una città che, per lungo tempo e’ stata considerata una vergogna italiana: sporca, dimenticata, povera, bloccata in un tempo fuori dal tempo, privata del suo vero futuro. Ricominciamo da un territorio che, con umiltà e senza tanto clamore, ha saputo aspettare, con pazienza orientale, il momento per dimostrare che gli aridi sassi sanno raccontare e possono rappresentare una Cultura universale.


Ricominciamo da dove siamo partiti, perché forse, così, ci smarriamo meno

… e se fosse stato lui a diventare punk?

Vi confesso che la prima parte della pubblicità di Trivago mi è piaciuta. Lui, lei, un albergo, gli sguardi, in viaggio da soli, tutti gli ingredienti per una storia d’amore lunga più di 30 secondi. Noi donne abbiamo immaginato che, dopo la chiusura delle porte dell’ascensore, il bello, dannato e ricco uomo chiedesse alla bella, acerba e punk donna, di andare a cena insieme. Gli uomini invece, hanno pensato…beh…hanno pensato (punto).

Trivago, abilissima nel capire il potenziale di una storia appena iniziata,  ha pensato bene di dare un sequel a quel flirt. Così, la domanda “come sarà andata a finire?”, trova una risposta nel nuovo spot, che racchiude i best moment della coppia, tutti rigorosamente vissuti in albergo.

Lui sempre bello, dannato e ricco. Lei sempre bella, acerba ma non più punk.

Eh si, se appare evidente che, l’immagine di lui è praticamente immutata, se non addirittura accresciuta di fascino (vedi scena corridoio: lui, con fare alla Ufficiale gentiluomo, accompagna lei, donna innamorata e addormentata, alla stanza d’albergo ormai matrimoniale). L’immagine di lei invece, sembra essere stata “ripulita”: niente piercing, chiodo, borchie o capelli pettinati con le bombe a mano.

Insomma una vera e propria “normalizzazione” di quella donna che, proprio per il suo look bizzarro, aveva fatto sorridere, nell’ormai famoso ascensore, l’uomo misterioso, conosciuto solo attraverso uno scambio di sguardi.

Adesso quindi, riusciamo ad intuire, cosa sia potuto succedere alla fine del primo spot: niente inviti galanti a cena; niente sesso sfrenato ma solo l’inizio di una storia d’amore che, lascia da parte l’anticonformismo e rende, tutta la vicenda, più patinata e vicina alla favola (il capello lungo e la barba finto incolta di lui, non fanno testo se abbinate ad un abito griffato). L’uomo dal generoso conto in banca, incontra per caso la pischella ribelle, un po’ squattrinata e si innamora: Cenerantola docet.

Cosa sarebbe successo se fosse stato lui a cambiare il look?

Lascio agli addetti ai lavori l’ardua sentenza ma vi confesso che, non mi sarebbe dispiaciuto vedere una storia d’amore meno “fiaba style”; più giocata sulle differenze tra due mondi che, si sono incontrati per caso ma si sono piaciuti per volontà.

Le 10 cose che non mi mancheranno dell’estate 2014

L’estate per molti non è ancora finita: c’è chi, a scadenze domenicali, cerca di rubare ancora qualche raggio di sole per conservare l’abbronzatura sauvage almeno fino a Natale.

Il countdown verso il 23 settembre però e’ iniziato ed io, posso affermare con certezza, le 10 cose che non mi mancheranno dell’estate 2014:

1. La canzone ufficiale della nazionale italiana per i Mondiali di calcio

Rispetto i Negroamaro e la loro voglia di riproporre i vecchi classici della canzone italiana ma non bastava Modugno come momento amarcord? Perché Shakira, il bifidus e Jennifer Lopez si sono divertiti a ritmo di la la la, scuotendo tutto lo scuotibile umano e noi invece, durante i gol (delle altre squadre), ci siamo disperati sui virtuosissimi vocali di Sangiorgi e del suo “amore così grande”?

 

2. Le foto agli ombrelloni

Carissimi, fotografando gli ombrelloni dalla Romagna al Salento, per caso avete voluto farci notare la vostra abilità nell’abbinare il colore del bikini (o del boxer) a quello degli ombrelloni della spiaggia da voi scelta?

 

3. Gli occhiali a specchio

Alzi la mano chi e’ riuscito a concentrarsi e a non perdersi nella propria immagine riflessa, parlando a degli occhiali a specchio.

 

4. Le foto in spiaggia.

Prendete una spiaggia più o meno affollata di turisti, gente munita di smartphone e dimenticatevi di arrivare a toccar acqua facilmente. Roba che, i livelli delle prove di Giochi senza Frontiere, erano una passeggiata. Ho visto cose che voi bagnanti abituali neanche immaginate. Ho visto gente scattare foto con smartphone e tablet contemporaneamente; donne spiaggiate sul bagnasciuga in pose che, neanche nei più spinti film soft porno, si sono viste. Ho visto coppie ammiccare obiettivi con sguardi languidi e innamorati e ho sentito gente salutare ripetendo all’infinito la frase “scatta adesso che poi la postiamo su Facebook”.

5. Le vacanze in Salento

La risposta alla domanda “Dove vai questa estate?” è diventata più scontata delle faccette di Barbara D’Urso. (Devo confessarvi che anch’io sono stata nei paesi della taranta, dei pasticciotti, della taranta, del mare, della taranta, del Barocco, della taranta, della Notte della taranta, della taranta).

 

6. Le innumerevoli foto delle vacanze.

Vi ricordate quando un amico tornava dalle vacanze e vi invitata a casa per una cena e poi “casualmente” partiva il momento “foto dell’estate”? Bene, se prima potevate elegantemente rimandare l’invito con la scusa di dover accompagnare vostra nonna a messa; di dover collocare il nano da giardino o dover seguire il corso di Thai-Chi, perché “proprio non posso rinunciare, sai sono un po’ stressata, le discipline orientali fanno bene ai miei chakra”, con Fb siete costretti a vedere tutte, ma proprio tutte, le foto. A nulla serve spegnere il pc, il telefono, il tablet, gli amici che posteranno foto di mari, montagne, pianure, mojito, piedi, selfie, saranno tanti e se non ci penseranno loro ad aggiornare il mondo facebookiano, provvederà l’amico dell’amico con tag compulsivi.

 

7. I discorsi sulla spiaggia a fine Agosto

Dopo aver sentito anche il ragazzo del carretto dei gelati (giuro che Renzi non era nei paraggi) dire “Per quest’anno ho finito” intonando una canzoncina natalizia, anche il 2 Novembre sembra più allegro.

 

8. Le frasi infelici alla Alfano sui “vucumprà”

Secondo menti illuminate, tutte le spiagge italiane dovrebbero essere dei giganteschi Club Méditerranéé, dove viene servito champagne e si prende il sole su lettini di lino bianco, massaggiati da quelli che una volta facevano i “vucumprà”.

 

9. Le foto dei bimbi uccisi a Gaza

Mi chiedo come si possa, sulla propria bacheca Fb, intervallare la foto di un panino con quella di un bimbo immerso in una pozza di sangue. Per caso è voyeurismo medievale in versione summer 2014?

 

10. La pioggia

Se per i Dear Jack la pioggia è uno stato d’animo, per noi poveri abitanti della penisola, la pioggia è uno stato meteorologico estivo costante. Una certezza, un punto fermo, rassicurante e umido. Ringraziano i meteorologi che, ormai in balia dei monsoni, non riescono a dare previsioni azzeccate neanche aprendo la finestra e vedendo che tempo fa.